La lotta di una sopravvissuta: il caso Gisèle Pelicot
Trigger Warning: Menzioni di violenza sessuale
È iniziato ormai da due mesi un processo che sta sconvolgendo la Francia: Gisèle Pelicot, 71 anni, ha rinunciato all’anonimato concesso dai tribunali francesi nei casi di violenza sessuale per portare alla giustizia 51 degli almeno 72 uomini che, per quasi dieci anni, dal luglio 2011 a ottobre 2020, hanno abusato di lei centinaia di volte. Ma come ha potuto verificarsi una tale crudeltà, per così tanto tempo, senza che Madame Pelicot se ne accorgesse? Ebbene, questi uomini erano stati portati nella casa della donna da non altro che suo marito, Dominique Pelicot, con il quale Gisèle era sposata da 50 anni. L’uomo era solito somministrare alla donna un mix di Temesta (In Italia Tavor), un tipo di benzodiazepina, e Zolpidem, un ansiolitico e ipnotico, nascondendo queste sostanze nel cibo della ormai ex moglie. Dopodiché, dopo averla spogliata, chiamava l’uomo di turno nella loro camera da letto per approfittarsi di lei, se non lo faceva lui stesso. Gli uomini interessati dovevano seguire un rigido “protocollo”: non potevano parlare ad alta voce, dovevano togliersi i vestiti in cucina e non potevano indossare profumo né odorare di tabacco; a volte, dovevano aspettare fino ad un’ora in un parcheggio vicino per far sì che le droghe somministrate avessero effetto. Madame Pelicot è venuta a sapere di queste violenze solo nel 2020: la polizia, infatti, aveva arrestato Dominique per aver filmato sotto le gonne di tre donne al supermercato. In seguito a ciò, le autorità hanno sequestrato il telefono, il computer e gli hard disk dell’uomo, trovando su di essi più di 20.000 immagini e video che ritraevano le violenze inflitte da lui stesso e da altri uomini sulla moglie. Questi file multimediali erano racchiusi in una cartella denominata “Abuso”, e condivise da Pelicot su un sito di chat gratuite, Coco.gg (Precedentemente Coco.fr), più in particolare all’interno di una chat chiamata “A sua insaputa”, in francese “À son insu”. Il 2 novembre, Gisèle è stata contattata dalle forze dell’ordine e si è trattenuta tutto il giorno alla stazione di polizia, dove le hanno mostrato una foto di se stessa, senza vestiti, mentre veniva violata da un uomo che non era suo marito. Lei stessa parla dello shock, della vergogna che ha provato, e della difficoltà di parlarne con i suoi figli.
“Volevo solo scomparire”, ha rivelato alla BBC. “Ma ho dovuto dire ai miei figli che loro padre era in arresto. Ho chiesto a mio genero di stare vicino a mia figlia quando le ho detto che suo padre mi aveva violentata, e che mi aveva fatta violentare da altri. Ha emesso un ululato, il cui suono è ancora inciso nella mia mente”.
La donna racconta di perdite di memoria, di debolezza generale: il marito l’aveva persino accompagnata dal medico per valutare un’eventuale sofferenza di Alzheimer. E invece, il suo malessere proveniva da continue droghe e dal riscontro di quattro malattie sessualmente trasmissibili in seguito agli abusi.
Tre degli accusati sarebbero stati loro compaesani, del paesino di Mazan in Provenza, comunità di meno di 6000 abitanti dove la coppia Pelicot viveva dal 2013, mentre gli altri provenivano da paesi e città vicine. Madame Pelicot ricorda di aver incontrato più volte uno di questi uomini, poiché era venuto a casa sua per parlare con suo marito di ciclismo. Altre volte, l’avrebbe salutato cordialmente in panetteria. Perché avrebbe mai dovuto sospettare che lui, insieme a tantissimi altri uomini, l’avesse stuprata più volte? Uomini normali, tutti tra i 26 e i 74 anni: lavoratori, studenti, mariti, padri, fratelli, figli, definiti “eccezionali” dalle proprie famiglie. Persone comuni, non i cattivi che vediamo nei film, non mostri. Persone comuni, che in dieci anni, dopo essere venuti più volte ad approfittarsi di una donna incosciente, non hanno mai pensato di denunciare, avvertire, rivelare la verità. Ogni singolo uomo, Dominique Pelicot compreso, è entrato ancora e ancora in quella camera da letto perfettamente consapevole di ciò che stava facendo: è rimasto volutamente in macchina quei minuti per aspettare che le droghe avessero effetto. Ha avuto minuti, ore, mesi, anni per ripensarci: eppure, ogni singola volta, lo ha fatto. Molte volte, rifatto.
“Anche una telefonata anonima avrebbe potuto salvare la mia vita”, ha dichiarato Gisèle Pelicot.
Il processo, iniziato il 2 settembre, ha permesso al caso di assumere una fama globale, e i nomi di alcuni dei partecipanti a questa violenza inaudita hanno iniziato a circolare per il web. Gli avvocati della difesa hanno presentato diversi argomenti, insinuando che la coppia Pelicot potesse aver avuto una relazione aperta, o chiedendo a Madame Pelicot come potesse essere possibile non accorgersi per dieci anni di tutte le violenze subite. Gli accusati hanno persino affermato di “Essere stati portati da Dominique Pelicot a pensare che la vittima fosse consenziente”, o che “Non si erano accorti che la vittima fosse incosciente”, mentre Dominique ha ammesso tutti i suoi crimini. La motivazione? La moglie lo “privava” spesso dei rapporti sessuali.
“Spesso, quando c’era una partita di calcio in televisione, lo lasciavo a guardarla da solo. Poi mi portava il gelato a letto: il mio gusto preferito, lampone. E io pensavo: quanto sono fortunata”. –Gisèle Pelicot.
Gli accusati potrebbero essere condannati fino a 20 anni di reclusione. Il processo durerà fino a dicembre.
La figlia stessa dei Pelicot, nome d’arte Caroline Darian, pensa di essere stata un’altra vittima degli schemi di Dominique. Nell’hard disk dell’uomo è stata trovata una cartella con il nome “Riguardo a mia figlia, nuda”, contenente delle foto di Darian, senza vestiti. La donna è convinta di essere stata drogata insieme alla madre. Nel 2022 ha scritto un libro intitolato “Et j’ai cessé de t’appeler papa”, “E ho smesso di chiamarti papà”, in cui racconta quanto sia stato difficile andare avanti per sua madre, lei e i propri fratelli dopo l’arresto di Dominique Pelicot.
La decisione della donna di rendere pubblico il processo ai suoi stupratori è emblematica, un modo per dimostrare nuovamente al mondo quanto la cultura dello stupro e la misoginia siano radicati nella nostra società. Gli uomini che entravano a casa Pelicot erano di così tante età differenti che non possiamo considerare questa storia come un caso isolato, ma dobbiamo analizzare la sistematicità del grande problema di cui rappresenta il manifesto: “Non tutti gli uomini”, ma tanti uomini di più generazioni non si sono fatti domande sul rispetto del corpo di una donna. L’hanno violata, umiliata, accettato il consenso del marito come il suo o forse fantasticato sulla mancanza di esso, prendendolo come incentivo a continuare ad esercitare il proprio controllo su Madame Pelicot. Ed è proprio questo il problema alla base: la pretesa di controllo sulle donne. La loro disumanizzazione. Un modo di pensare diffuso, che influenza tutti e tutte noi, in misure differenti. Non si tratta di semplice desiderio sessuale. Perché non è normale che un marito possa pensare di esercitare un tale controllo sulla propria moglie: sul suo corpo e sul suo consenso. Non è normale che un padre possa possedere una cartella contenente foto di sua figlia nuda, di sua moglie nuda e violentata, e che possa sentirsi così sfacciatamente tranquillo e sicuro di farla franca da non nascondere neanche cosa stia facendo, chiamando apertamente queste cartelle “Abuso”, come se fosse una cartella come tante, una qualsiasi tra i vari file di lavoro e di vita quotidiana. Come se i corpi delle donne fossero qualcosa di così leggero, così insignificante.
“Non ho più un’identità…Non so come mi ricostruirò” Dice Madame Pelicot. “Non so come mi rialzerò dopo tutto questo. Per fortuna, sono aiutata da uno psichiatra, ma mi serviranno ancora tanti anni. Presto ne avrò 72, e non so se la vita mi basterà per rialzarmi”.
Nonostante la sua stanchezza, Madame Pelicot ha dimostrato un enorme coraggio e forza d’animo nel il corso del processo: le accuse della difesa e la visione degli uomini che l’hanno ferita non sono state sufficienti per abbattere il suo spirito.
“Dedico [questa lotta] a tutte le persone, donne e uomini, in tutto il mondo, che sono vittime di violenza sessuale. A tutte queste vittime, voglio dire oggi: Guardatevi intorno, non siete sole”, ha dichiarato.
Ed è proprio questo il motivo della sua decisione di rendere pubblico il processo: aiutare le persone che, come lei, hanno subito, subiscono e continuano a subire questi atti di violenza inaudita, cercando di abbattere questo sistema di vergogna che porta le vittime a non testimoniare.
“Non spetta a noi provare vergogna, ma a loro. Voglio che tutte le donne che sono state violentate possano dire: Madame Pelicot l’ha fatto, allora anch’io posso farlo. La vergogna deve cambiare lato”.
Bianca Tiberia VE