IL CASO DEI FRATELLI MENENDEZ E LO SCALPORE CHE STA SUSCITANDO NEGLI ULTIMI GIORNI.
Nel 1990 l’America è stata testimone di uno dei casi di parricidio più efferati degli ultimi tempi: l’uccisione di Jose e Kitty Menendez.
Jose, Kitty e i loro due figli, Lyle ed Erik, rappresentavano il coronamento del tipico “American Dream”: una ricca azienda di famiglia, un’ipotetica promessa del tennis e un ragazzo che sembrava perfetto per essere gettato nel mondo degli affari.
Con queste premesse ci si potrebbe chiedere come i coniugi Menendez siano stati trovati nella loro casa la notte del 20 agosto 1989, esanimi, in salotto, con il volto deturpato da colpi sparati senza nessun ripensamento. La risposta è molto semplice: sono stati i loro figli ad ucciderli.
Togliere la vita alle persone che ti hanno messo al mondo.
Sembrerebbe impensabile, eppure Ryan Murphy (creatore di Dahmer) cerca di spiegarlo il più dettagliatamente possibile nella serie uscita su Netflix il 19 settembre, ricordandoci un proverbio comune ma troppo spesso sottovalutato: “Non è’ tutt’oro quel che luccica”.
Testimonianze e processi hanno portato alla luce una vita di abusi sessuali e violenze domestiche subiti dai fratelli Menendez; tuttavia quest’articolo non vuole soffermarsi su ciò che è giusto o sbagliato(?), perché le persone che lo leggeranno, o che già conoscevano la vicenda, si faranno una propria opinione.
Cos’è che rende la serie difettosa? Cos’ha prodotto Ryan Murphy per scatenare migliaia di critiche e addirittura una lettera risentita dallo stesso Erik Menendez?
Il primo errore è la chiave ironica che è spesso presente nei nove episodi: Erik e Lyle caricano i fucili con delle pallottole, in una scena a rallentatore con “Don’t dream it’s over” dei Crowded House a fare da colonna sonora per questa sequenza importantissima. Questo è solo un esempio, un frame di pochi secondi, ma non l’unico nella serie.
Tendenzialmente, trattando di questi temi, uno degli obiettivi principali è far capire allo spettatore come funzionano gli ingranaggi nella mente dell’assassino, scatenando una sorta di empatia che però non dovrebbe eccedere in simpatia.
Inoltre, un tema ricorrente negli episodi è l’omosessualità repressa dei protagonisti, che causa un seguito di eventi macchiati di molestie; non è stato confermato che Lyle abbia abusato di Erik ma è noto che gli abusi di Jose abbiano creato ad entrambi disagi psicologici.
Sebbene Lyle abbia dichiarato di aver abusato di suo fratello Erik, proprio come aveva fatto il padre con lui, i Menendez condannano la serie televisiva perché spinge lo spettatore a ipotizzare che tra i fratelli ci sia un legame sentimentale e sessuale.(?)
Erik Menendez, infatti, ha scritto una lettera intrisa di risentimento dal Richard J. Donovan Correctional Facility, diffusa online da sua moglie Tammi, dove accusa Ryan Murphy di romanticizzare il rapporto tra i fratelli (/lui e suo fratello) e creare una rappresentazione disonesta delle cose.
Un’ultima critica che si può avanzare alla serie TV è la passività di molte scene: un episodio di trentasei minuti che si svolge su una sola identica inquadratura non mantiene l’attenzione di chi lo guarda; tuttavia alla regia va riconosciuta la precisione nei dettagli, soprattutto per i costumi, che sembrano realmente conservati dagli anni ’90.
Detto ciò, “Monsters: the Menendez Brothers” è una creazione che sta accumulando un pubblico notevole, che tratta di argomenti spesso ignorati come l’abuso maschile e di come purtroppo, a volte, colui che subisce l’abuso tenda a diventare colui che lo infligge.
Fiammetta Casinghini