Conosciamo la nuova Preside
Siamo a un altro anno nel liceo Albertelli; le novità non sono poche e con esse arrivano malcontenti e dubbi. Settimana corta, settimana lunga: per alcuni è l’anno decisivo, e l’esame inizia a diventare sempre più prioritario; per altri, invece, è il primo approccio al mondo del liceo, mentre altri ancora devono iniziare a organizzarsi con l’alternanza scuola-lavoro. In ciascuno di questi casi, dubbi e, perché no, un po’ di sane ansie sono inevitabili. Il cambiamento spaventa sempre; tuttavia, bisogna affrontarlo a testa alta e senza paura (o almeno, questo è quello che ci sentiamo di consigliarvi).
A proposito, uno dei cambiamenti più eclatanti di quest’anno è sicuramente l’arrivo della nuova preside. Rosa Palmiero, infatti, è da poco giunta definitivamente alla presidenza, succedendo all’ex preside Antonio Volpe. Potremmo parlare a lungo di lei, ma ci è sembrato opportuno, per darvi un quadro il più oggettivo possibile e per cominciare bene il giornalino di quest’anno, intervistarla, ponendole alcune domande che, secondo il nostro modesto parere, fossero più adatte.
Dunque, senza indugi, ecco com’è andata:
Questo è stato un anno di grandi novità per il Pilo, sia per il corpo docenti, che per gli studenti sia ovviamente per la direzione scolastica. Perciò ci chiedevamo: cosa ha pensato quando ha saputo che sarebbe diventata la nuova dirigente scolastica della nostra scuola?
Preside: Beh, sicuramente l’ho trovato estremamente sfidante. Mi piaceva l’idea di relazionarmi con gli studenti delle scuole superiori, e poi ho accolto con molta semplicità la notizia, perché in realtà è stato un trasferimento disposto dall’USR. Credo che un dirigente scolastico debba solo rendere un servizio, quindi che lo renda in una scuola centrale o in una scuola di periferia il servizio che deve rendere deve essere il migliore.
Parliamo di una scuola importante, una scuola centrale, come ha detto lei, una delle più antiche di Roma. Probabilmente anche lei si era fatta un’idea di essa prima di entrare. Ecco, volevamo chiederle: come ha trovato la nostra scuola? Ha rispettato le sue aspettative?
Preside: Ho imparato a non avere aspettative. È una cosa che si impara, ad un certo punto, ed è bene impararla subito. Mi sono lasciata davvero stupire: la scuola è bella, è bellissima ed è innegabile e, come dicevo prima, così invasa di bellezza, di ricchezza storica che ci si potrebbe sentire schiacciati: andrebbe in qualche modo tutelata. Io credo che dalla scuola verrebbero fuori enne mila possibili mostre da poter fare in altrettante occasioni. Metterle a sistema non è facile. Le risorse umane, in tutto questo discorso, sono strette, e quando parlo di risorse umane parlo di personale. Quindi la scuola mi è piaciuta molto, ripeto, ci entro in punta di piedi, sono consapevole del fatto che debbo fare in modo che diventi una casa trasparente. Questo non perché l’ho deciso io, ma perché è la norma che lo prevede, la pubblica amministrazione, e questa scuola si inserisce nel ramo più bello della pubblica amministrazione -dell’istruzione- e per questo deve diventare una casa trasparente. Cioè, chi la guarda deve sapere cosa sta vedendo: se cerca un’informazione, deve sapere come è stata ricavata.
A fronte di queste dichiarazioni, che novità ha in serbo per il Pilo Albertelli in che modo possono contribuire gli studenti ed il corpo docenti?
Preside: Io non ho in serbo nessuna novità. Mi spiego meglio: Non può scendere tutto dal dirigente come un deus ex machina: io non sono un deus ex machina, la mia abilità deve essere quella di leggere l’indirizzo di chi mi è di fronte, quindi mi aspetto di capire, di percepire quelli che sono i bisogni degli studenti, i bisogni dei docenti, e tutto questo deve essere collocato in una cornice, una cornice che è quella della Costituzione. Cioè è ovvio che se emerge un bisogno che io non reputo, o che oggettivamente non è inquadrabile in quella cornice, quel bisogno non viene preso in considerazione, ma tutto il resto va assolutamente preso, ovviamente un po’ alla volta e dandoci delle priorità. Quello che mi piacerebbe fare da subito e che sento che è necessario, anche se sembra un concetto desueto, ma credo sia importantissimo, è cercare di costruire un clima relazionale improntato al benessere: le persone lavorano, passano tanto tempo nel luogo di lavoro, i ragazzi stanno tanto tempo a scuola; sarebbe opportuno starci bene.
Come ha potuto notare negli ultimi anni le iscrizioni al nostro liceo sono drasticamente diminuite. Secondo lei cosa si potrebbe fare per migliorare questa situazione, in futuro ma anche adesso?
Preside: Allora, effettivamente guardando le iscrizioni negli ultimi due anni c’è stato un calo. Come sempre noi non dobbiamo cercare le risposte ma capire qual è la domanda. Le domande possono essere anche più di una. Credo che una soluzione sarebbe quella di implementare una curvatura, e quindi rispondere a quelle che potrebbero essere le esigenze dei portatori di interesse esterni, quindi il municipio, il territorio in cui la scuola è incardinata. Allo stesso tempo sarebbe bello farsi un elenco delle domande papabili che possano in qualche modo racchiudere quel decremento di iscrizioni. Non credo che il liceo classico sia fuori moda, creo che mai come in questo moneto storico abbiamo bisogno di persone che siano in grado di pensare, che siano in grado di distinguere tra l’opinione, la doxa, e la verità, o quantomeno un giudizio senato. Ciò, di persone che sappiano leggere tra le righe. Ci troviamo in un mare magnum di opinionisti, che differenza c’è tra un’opinione e un’altra? Perché un’opinione pesa più di un’altra? Perché un’influencer è così influenzante? È mai possibile che l’influenza passi attraverso la popolarità? E a che cosa è dovuta questa popolarità? Sono tutte domande forse antiche, non c’è nulla di nuovo, l’unica cosa nuova è che quello che sta accadendo è amplificato dalla capillarità dell’informazione che schizza a nanosecondo. Se prima l’informazione era più contenuta, aveva dei tempi di trasmissione più lenti dovuti ai media su cui si basava, adesso non c’è più la ciarla o il giornale di paese, ma l’informazione non controllata, che noi chiamiamo così in senso informatico, schizza all’inverosimile. Come faccio io a capire cos’è vero e cos’è verosimile, quella che è informazione e quella che è disinformazione? E qui ritorniamo a noi. Mi piacerebbe tanto pensare, mi piace pensare, io penso, credo, che la scuola serva a questo. E in particolar modo, se io scelgo un liceo che sia classico, scientifico o artistico, perché tutti e tre rientrano nella collocazione dei licei, è perché voglio imparare a pensare, voglio esercitare il pensiero. C’è qualcuno che dice che il pensiero sviluppa il linguaggio e il linguaggio sviluppa il pensiero, e il pensiero modifica la realtà. Questo è quello che penso debba fare un liceo, senza stare lì a cercare innovazioni particolari: l’innovazione deve essere funzionale, non deve essere l’obiettivo, ma il mezzo; per cui io utilizzo lo stemma, o la tecnologia in modo funzionale, ma probabilmente quello che facciamo è esattamente quello che veniva fatto nell’Antica Grecia, cioè interrogarsi sui temi importanti.
Si è parlato a lungo dei fondi messi a disposizione dal PNRR, e sono anche sorte delle controversie nella nostra scuola riguardo all’accettazione o meno di essi. Lei se e come vorrebbe utilizzarli?
Preside: Nella posizione in cui mi trovo non sento di avere la necessità di esprimere un giudizio politico rispetto ai fondi. Agisco in modo diverso: ricordate sempre che la mia estrazione è quella di un fisico matematico applicato; sono un pratico. Guardo con religioso rispetto i teorici, ma io sono un pratico, un applicato. Io credo che ci siano delle risorse, e io uso queste risorse. Ma queste risorse le uso secondo quella che è l’idea di fondo, quella pura. E ritorniamo alla domanda precedente: la tecnologia la uso io in modo strumentale, non mi faccio strumentalizzare. In realtà oggi tutti noi siamo strumentalizzati, così come l’economia è soggetta alla politica: ma in verità, è la politica che è soggetta all’economia, quindi abbiamo abiurato, A questo punto, di fronte al PNRR sono io che cerco di dominarlo, perché se lo domino ho dei fondi e questi fondi possono aiutarmi in un momento storico in cui non ho possibilità di muovere cifre così grosse, così importanti. Come le utilizzerei? Anche in questo caso torno alla seconda domanda: non sono un deus ex machina. Una cosa che ho imparato è che la domanda deve incontrare l’offerta. Usiamo questo linguaggio economico per dire che l’offerta è, prima di tutto, la disponibilità delle risorse interne che ho. Io ho dei docenti, e mi sembrano estremamente preparati. Dico “Mi sembrano” perché siamo solo a settembre e non ho ancora potuto richiedere i curricula, ma già li sto richiedendo. Ho delle risorse molto spesso nascoste, perché non hanno spesso la volontà di palesarsi per diverse ragioni. E ho una domanda, che è la richiesta fatta da voi: se facciamo incontrare la domanda con l’offerta ci sono tantissime cose che possiamo fare con il PNRR, non ultimo, se possibile, immaginare qualcosa di nuovo. Però, in questi giorni sto mettendo mano a quello che è già stato impegnato. Quando utilizzo il termine “impegnato” mi riferisco alle risorse economiche che sono già state vincolate perché sono già state contrattualizzate. Quelle non le posso toccare, quindi vediamo quello che posso toccare. Tutto quello su cui si investirà da questo moneto in poi sarà soggetto a questo paradigma. Dovrà essere al nostro servizio. È ovvio anche, tornando sempre a quell’aspetto pratico, ricordare che ci sono dei vincoli. Il vincolo che se si fa un corso è che questo corso deve essere a mio avviso interessante a priori, a mio avviso deve incontrare la domanda con l’offerta. Poi deve coniugarsi con la praticità che non deve mai scendere al di sotto di quello che è il target, altrimenti non viene rendicontato. Ma se noi agiamo mettendo al primo posto l’etica –fatemi usare questa parola- e l’intenzione, se l’intenzione è pura poi di ritorno hai che diventa facile rendicontarlo, gli studenti seguono perché sono realmente interessati e l’hanno scelto, perché hanno partecipato in qualche modo alla scelta e alla selezione dei corsi. Cioè se la progettazione è fatta in co-progettazione e parte in maniera orizzontale anziché che in maniera in verticale, poi è ovvio che ci voglia un vertice, altrimenti non se ne esce, però più la progettazione è condivisa più a mio avviso le attività procedono e più…è vero, si possono commettere degli errori, però è difficile che ti venga puntato il dito contro perché se abbiamo condiviso e co-progettato, insieme troviamo anche la soluzione all’errore. Diventa un lavoro di costruzione, decostruzione e correzione.
Passiamo ora al quesito che si pongono tutti: riguardo alla possibilità di adottare la settimana corta nell’orario scolastico, sono state avanzate molte proposte dai docenti su come essa potrebbe essere strutturata. In caso si opti per questa modalità didattica, sono già state individuate le proposte adottabili?
Preside: Sono molto lieta di rispondere a questa domanda, perché, appena assunta, ho trovato un fascicolo considerevole sulla scrivania del dirigente, contenente una serie di atti riguardanti questa tematica per l’anno scolastico 2023/24. Questa situazione ha suscitato notevole ansia nel personale e, in particolare, ha creato disagio e confusione. Vi dirò di più: ho incontrato una famiglia che mi ha chiesto informazioni sulla settimana corta, scrivendomi. Ho ricevuto una mail senza neanche aver preso possesso del mio ruolo, né aver mandato il contratto firmato all’USR. In quella comunicazione, mi si chiedeva di non acconsentire. Io sono un dirigente scolastico, non sono Dio e desidero sottolineare questo concetto: posso rilassarmi se sbaglio e posso accogliere ciò che mi viene proposto, o rifiutarlo se mi sembra inadeguato.
Come ho proceduto? La richiesta non poteva essere ignorata. Pertanto, ho ricominciato tutto da capo, ho portato il tema in collegio docenti e ho acquisito la delibera necessaria. Sono consapevole che l’ultima parola spetta al consiglio d’istituto e non a me, e questo è importante. Se il consiglio si ponesse la questione, verrà sottoposta una sorta di sondaggio referendario per raccogliere le opinioni della comunità scolastica. Questo sondaggio è fondamentale per me, in quanto dirigente, per comprendere a fondo la situazione. I dati devono essere interpretati e, a tal fine, ho chiesto a chi ha votato “come” e “perché”, per avere un’idea chiara.
In merito alla preparazione, siamo partiti subito perché ho trovato negli atti che c’è una commissione formata da un docente dell’Indire, che ha lavorato su questo tema per un anno. Sono stati redatti due verbali e presentate proposte che mirano a non accorpare più di quattro discipline insieme e a accostarle sempre in coppia di due, per garantire che il carico giornaliero non superi le quattro discipline, mantenendo un giusto equilibrio.Non so quale sarà l’esito delle votazioni, poiché la delibera finale arriverà dal consiglio d’istituto. Ma, una volta completati tutti i passaggi, possiamo accantonare il problema. Se non verrà approvata la settimana corta, torneremo alla modalità lunga e non ne vorrò più sentire parlare. Viceversa, se la settimana corta verrà approvata, entreremo in una nuova fase e dovrò vigilare attentamente. Questo significa che ci sarà un impegno da parte del collegio dei docenti a implementare l’orario in questo modo. Se non ci sarà coerenza, io sarò il garante e ho il dovere di esserlo.
Passiamo a una domanda che si collega al tema del benessere. Ha qualche consiglio particolare da dare agli studenti su come raggiungere questo benessere all’interno della scuola?
Preside: Il consiglio è di iniziare a lavorarci. Il benessere parte dalla mente, prima di tutto, ed è qualcosa che dobbiamo desiderare e perseguire in modo collettivo, poiché ci troviamo in un contesto corale. Non basta un benessere individuale; abbiamo bisogno di un benessere collettivo. Prima di tutto, andrebbe smontata la competizione all’interno delle classi, che è estremamente deleteria. Tuttavia, mi rendo conto che è difficile farlo, perché siamo inseriti in un contesto culturale già competitivo e spesso meritocratico. Questo è tradotto nella scuola attraverso un sistema di valutazione in cui tutto deve essere quantificato. È difficile cambiare questa cultura, ma le rivoluzioni migliori si basano sulla verità, perché la verità è rivoluzionaria.
Dico agli studenti: non siete un 6, un 7, un 8, un 9, un 5 o un 4; siete persone. Mi piacerebbe che ci si appassionasse al sapere e che si tollerasse con maggiore pazienza ciò che non sempre piace, per raggiungere l’obiettivo di conseguire il diploma e poter poi seguire le proprie aspirazioni. Tuttavia, mi accorgo che, in questo momento storico, la passione langue. Abbiamo bisogno di persone appassionate e, biologicamente, l’età in cui si è più appassionati coincide spesso con quella in cui questa passione viene soffocata. Questo genera malessere. Se mi ritrovo a studiare contro voglia, genero malessere. Questo è il benessere di cui parlo: nella vita dovete fare di tutto: sport, amici, uscite, dibattiti, manifestazioni, tutto. Se dovessi lasciare un mantra, dico che nutro la religiosità del dubbio e ho paura quando mi trovo di fronte a interlocutori che sembrano sapere sempre tutto.
Ci sono aspetti che ha riscontrato nella scuola che cambierebbe o modificherebbe a livello di edilizia o organizzazione?
Preside: Attualmente, non considero questa la priorità. La priorità è osservare, capire e comprendere, non portare subito innovazioni dall’esterno. È malsano entrare in un contesto, sia esso fisico o meno, e imporre un modello. È innegabile che porti i miei modelli, ma ora devo comprendere e il rispetto per ciò che è diverso da me e per ciò che non conosco deve guidarmi. Finché non conosco bene, non cambio nulla. Certamente, non conosco come si studia o si valuta qui. Immagino che si faccia secondo le linee guida.
Prima ha citato il termine “casa trasparente” cosa intendeva o a cosa si riferiva?
Preside: Il termine “casa trasparente” è utilizzato in una norma dello Stato. In passato, molte operazioni venivano occultate ai cittadini, non per segreti, ma per un certo modus operandi. Alla fine degli anni Novanta, si è compreso quanto fosse importante che il cittadino sapesse che, quando si rivolge alla pubblica amministrazione, segua un iter ben preciso. L’esigenza era dimostrare che ogni richiesta venisse presa in carico e gestita, permettendo così il monitoraggio dei passaggi e della modalità di evasione delle richieste. Nella scuola è lo stesso: dobbiamo considerare non solo ciò che avviene nelle classi, ma anche la valutazione finale degli studenti. È importante che tutto ciò che facciamo sia trasparente, ed è questa la ratio quando parlo di “casa trasparente”.
La ringraziamo molto.