Vogliamo innanzitutto fare una premessa tanto scontata quanto doverosa: sarà difficile non prendere questo articolo come un semplice elogio ai nostri artisti preferiti, ma cercheremo di parlare nella maniera più imparziale possibile di ciò che sta succedendo, a nostro avviso, nel panorama musicale che domina attualmente le classifiche. Negli ultimi anni, il rap italiano si sta gradualmente trasformando in qualcosa di nuovo, che potrebbe portarci a dover rivedere radicalmente la stessa definizione del genere. Partiamo col sottolineare un’ovvieta, ovvero che coloro che possiamo considerare come i padri fondatori del genere nel nostro paese abbiano concluso da tempo le loro carriere oppure, forti del successo riscontrato nel corso del tempo, abbiano deciso di adagiarsi sugli allori e dedicarsi a produrre canzoni nella maggior parte dei casi con il solo obiettivo di essere il nuovo tormentone del momento. Per riuscire a dare un giudizio più completo possibile abbiamo effettuato diverse ricerche, partendo da come si è effettivamente evoluto questo genere sin dal suo principio, ovvero dai primi anni 90′ fino ad oggi. Tra i gruppi pionieri del rap italiano non possiamo non citare gli Articolo 31, i Sangue Misto e i Cor Veleno, mentre, per quanto concerne i solisti, fondamentale è stato il contributo di artisti come Neffa, Frankie hi-nrg mc e Noyz Narcos. Per sua stessa natura, il rap, già ampiamente dilagato in America grazie ad esponenti come 2pac, The notorious B.I.G., Eminem e JayZ,, era caratterizzato da uno spiccato liricismo, ponendosi nettamente in contrasto con la musica considerata al tempo maggiormente popolare. Di fatto, nel corso degli anni il genere Pop è sempre stato considerato il più grande nemico della musica rap, che, al contrario, si mantiene in linea con le proprie origini, portando avanti l’obiettivo di denuncia sociale riguardo situazioni di disagio e bisogno, attraverso uno stile che, di conseguenza, risultava musicalmente molto grezzo, sentendo il bisogno di rimarcare concetti di semplici uomini e donne che cercavano di togliere la maschera piuttosto che mascherare a cio che veniva espresso nei testi. “Mi basta un tunz seguito da un tipico st- Aggiungo alla strofa due cuts, suono solo hip hop” – senti come suona (Sangue Misto) La prima grossa differenza che salta all’occhio sta sicuramente nella velocità del testo ed in generale con la durata canzone.Prendendo in della singola esempio un album uscito recentemente come “Locura” di Lazza, dove la maggior parte delle canzoni raramente supera i 3 minuti, nell’album vediamo come, invece, “SXM” dei Sangue Misto (pubblicato nel 1994) vengono sfiorati anche gli 8 minuti Prendendo sempre come estremo paragone questi due album vediamo come si sia passati, a livello di testi, quasi ad un dialogo diretto con il singolo ascoltatore: i rapper dei nostri giorni, nella stragrande maggioranza dei casi, si rivolgono ad un pubblico assai ampio e quindi variegato, con richieste e preferenze assai differenti da assecondare. Al contrario, l’impressione che abbiamo avuto ascoltando i dischi della prima scuola rap,è che si tirasse dritti per la propria strada senza la necessità di dover scendere a compromessi, imponendo il proprio stile per tutta la durata dei progetti e spesso dando l’impressione di star rivolgendosi a tutti e a nessuno. La prima, vera, grande svolta per il rap arriva tra il 2002 e il 2003, con la pubblicazione di alcuni dischi che diventeranno successivamente delle pietre miliari, grazie al loro ruolo di spartiacque.
Fabri Fibra, la cui attività musicale inizio già nel 1994, pubblica “Turbe giovanili”, mentre solo un anno dopo il celebre, ma allora nascente, collettivo dei Club Dogo, formato da Gue, Jake la Furia e il produttore Don Joe, irrompono nella scena con “Mi fist”. A partire da questo momento storico, il genere inizierà staccarsi sempre di più dall’underground per affacciarsi gradualmente sulla scena mainstream: molti degli artisti che prendono parte a questo processo di rinnovamento e ingrandimento del pubblico sono tuttora sono attivi nella scena, tra i quali ricordiamo Salmo, Gemitaiz, Marracash, i Cosang (Luché e Nto) e i Brokenspeakers (che fecero da trampolino per la carriera solista di Coez), oltre agli artisti già citati in precedenza. Il rap prende sempre maggiormente piede pone fondamenta sempre più solide, iniziando ad occupare anche le prime posizioni delle classifiche e preparandosi a sfidare i generi dominanti. La vera rivoluzione, in questo senso, arriva nel 2016 con l’avvento della musica trap: importata nuovamente dagli States, il suo stesso nome ci suggerisce la natura di questo nuovo sottogenere del rap, ovvero “trash rap”. Il disco-manifesto di questa corrente, del tutto inedita per il panorama italiano, all’unanimità “XDVR” è considerato di un allora emergente Sfera Ebbasta. Suoni ancora più cupi e taglienti, con testi che, pur mantenendo l’intenzione di esprimere un messaggio diretto, si mostrano meno articolati (sia a livello testuale che ritmico) e si legano indissolubilmente a un tipo di immaginario ricco di cliché e, nella maggior parte dei casi, poco fedele alla stessa realtà di cui gli artisti si fanno portavoce. Da questo momento in poi, metaforicamente, alea iacta est, il dado è tratto. L’anno successivo, nel 2016, la nascente scena trap, tra cui maggiori esponenti ricordiamo lo stesso Sfera, Tedua, Ghali, Capo Plaza, Rkomi, Izi e il collettivo Dark Polo Gang (composto da Tony Effe, Side Baby, Pyrex, Wayne e Sick Luke), s’impone con forza cambiando, nel giro di pochi anni, le regole del mercato musicale. Un fattore importante in questa ascesa è sicuramente l’avvento dello streaming, valido a partire dal 2017 per il conteggio delle copie vendute e, quindi, per l’assegnazione dei dischi d’oro e platino. Grazie a queste nuove modalità d’ascolto e al successo dei videoclip pubblicati su Youtube, i quali assumono un ruolo sempre più viscerale, il tradizionale pop lascia il posto alla trap e, in generale, all’hip-hop. La consacrazione avviene al termine del 2018, quando “Rockstar” , terzo album in studio di Sfera Ebbasta, nonché il disco trap più certificato fino ad oggi (x7 platino), viene nominato come disco italiano più venduto dell’anno. Negli anni successivi, per il genere si sussegue un successo dopo l’altro: Persona (Marracash), Famoso (Sfera), Re Mida (Lazza), Trap Lovers (DPG), Sinatra (Gue), 23 6451 (ThaSupreme), 20 (Capo Plaza) sono solo la punta dell’iceberg di un mercato dominato da rap e trap in continua espansione. “Perdona il mio ego al top di Spotify” – Body Parts, Marracash Arrivati a questo punto, dopo aver ripercorso le tappe fondamentali dell’evoluzione del rap in Italia, è il momento di proporvi la riflessione che ci ha spinto a scrivere questo articolo: ci sembra che il rap, in ogni salsa, (classico, trap o drill che sia) abbia perso gran parte della propria essenza, arrivando sostanzialmente a prendere il posto della musica pop. Basta dare una veloce occhiata alle classifiche, ma non solo: la maggior parte degli artisti con forti radici urban hanno scelto nel corso delle loro carriere di dedicarsi ad altri generi, spesso più melodici, classici e, fondamentalmente, volti al successo commerciale. Attenzione, non che ci sia nulla di male nell’approcciarsi a un genere anche diametralmente opposto a quello di provenienza, il punto è un altro, ovvero: che cosa spinge gli artisti di oggi a fare musica? Domanda tanto innocua quanto rivelatrice, a nostro avviso, della crisi che aleggia sulla musica rap italiana. Appare quasi lapalissiano come ormai tanti artisti siano più interessati ai classifiche, numeri, alle ai guadagni e alla visibilità (anche solo momentanea) piuttosto che a dare un’anima alla propria musica. I sintomi di questo approccio sono ben visibili anche agli occhi di ascoltatori più inesperti e poco assidui: tra tematiche ormai al limite della banalità , le solite collaborazioni a tavolino e produzioni musicali che (fateci caso) si servono sempre degli stessi giri armonici giri armonici e degli stessi suoni, il mercato è ormai saturo e gli amanti del genere sono assai stufi. Certo, ci sono le solite, dovute eccezioni, anche all’interno del repertorio di uno stesso artista (prendete Tedua, Ernia o Gue, per esempio), ma il discorso non vuole essere un attacco mirato quanto una critica generale. Possibile che i soldi e le fredde regole dell’industria siano ad oggi il primo criterio preso in considerazione dagli artisti durante la realizzazione dei propri progetti? Forse più che rapper e cantanti, gli artisti di oggi assomigliano più a degli imprenditori, pronti a sacrificare la propria originalità , il proprio stile e la sperimentazione pur di accontentare la major e andare virali su TikTok. Tutto ormai è riconducibile allo stesso calderone, tra canzoni che quasi non si distinguono tra loro, vengono ascoltate all’uscita tanto quanto basta per farle raggiungere l’insperata vetta della classifica il venerdi successivo e, una volta raggiunto l’obiettivo, finiscono inevitabilmente nel dimenticatoio.Una lancia che tuttavia ci sentiamo di scagliare a favore di questa situazione malata, è che negli ultimi anni con l’arrivo di numerosi rapper emergenti solitamente sotto i 25 anni si è arrivati ad un pubblico sempre più giovane.Ciò è dovuto ovviamente al fatto che nei testi vengono sempre più spesso trattate tematiche che un ragazzo comprendere più facilmente di un adulto perché le vive sulla propria pelle. Di amori si è sempre parlato, tuttavia con la digitalizzazione anche degli stessi rapporti umani, con tutte le difficoltà che la pandemia a ha creato soprattutto per coloro che come noi di quinto, che nel momento di massima scoperta fisica e sentimentale siamo stati bloccati e, in un certo senso ammanettati, abbiamo trovato un conforto nella musica rap senza il quale la vita sarebbe molto più difficile da decifrare. Fa sempre comodo avere un mentore, non trovate? -io non porto rancore ma il cuore mio non ha più spazio: Tedua (Acqua/malpensandoti) Terminiamo chiedendovi quanto potrà andare ancora avanti questo malato sistema? Quando l’arte potrà tornare a esprimersi e gli artisti smetteranno di svalutarsi per due spicci? Ai posteri l’ardua sentenza.
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Di Manfredi Monti Buzzetti ColellaÂ
E Luca Gerosa