Stefano Cucchi: Dove l'Italia ha fallito e continua a fallire

Stefano Cucchi nacque il primo ottobre del 1978 nella capitale. 

La mamma Rita teneva il suo bimbo tra le braccia, papà Giovanni era quasi commosso e la sorella Ilaria dell’età di quattro anni non vedeva l’ora di prendere la mano del suo fratellino.

Stefano crebbe a Roma, in una famiglia molto unita; prese la laurea come geometra e cominciò a lavorare presso lo studio di suo padre nel quartiere Casilino.

La sua vita sembrava una realtà perfetta, ma era un’apparenza che iniziò a sgretolarsi la sera del 15 ottobre 2009, quando fu fermato dai carabinieri nel Parco degli Acquedotti, dopo che questi l’avevano visto cedere delle bustine contenenti droga in cambio di qualche banconota. Stefano venne perquisito: addosso gli furono trovate abbondanti dosi di cocaina e hashish e per questo fu immediatamente portato in caserma. La perquisizione effettuata nella sua residenza, che era quella dei suoi genitori, fu di rilievo negativo. 

Per Stefano Cucchi venne determinata la custodia cautelare in carcere e sentenziato il suo inferno. 

Al momento dell’arresto Stefano presentava buone condizioni di salute e non lamentava alcun dolore fisico, ma tutto cambiò quando fu trasportato alla stazione di comando dei carabinieri verso le ore 02:15. 

Giunto in stazione, Stefano rifiutò di sottoporsi ai rilievi della polizia scientifica. Per questo futile motivo due dei cinque carabinieri che lo avevano colto in flagrante, Raffaele D’Alessandro e Alessio Di Bernardo, lo picchiarono con violenza ingiustificata, gonfiandolo di calci e pugni.

Dopo aver trascorso la notte in una cella di sicurezza, Stefano alle quattro di mattina del 16 ottobre lamentò di non sentirsi bene: aveva evidenti ematomi agli occhi e faceva molta difficoltà a camminare e parlare. Fu chiamato il 118 ma lui rifiutò di farsi visitare. In tribunale si dichiarò innocente per lo spaccio ma colpevole di detenzione per uso personale.

A suo padre, con cui parlò qualche attimo prima dell’udienza preliminare, non raccontò di aver subito percosse nonostante i segni sul viso fossero evidenti. Dopo la prima udienza la famiglia Cucchi chiese con lecita insistenza di vedere Stefano, ma non fu loro mai concesso: non riuscirono mai a vederlo per un’ ultima volta.

Per Stefano Cucchi fu disposto un mandato di fermo nel carcere di Regina Coeli in attesa dell’ulteriore udienza che avrebbe dovuto prendere luogo il 13 novembre del 2009. 

Al ritorno dal tribunale, però, le condizioni di Stefano cominciarono a peggiorare: alle ore 23:00 venne portato al pronto soccorso del Fatebenefratelli dove furono refertate lesioni alle gambe, al volto, all’addome e al torace, con frattura della mandibola, della terza vertebra lombare e del coccige. 

Le condizioni di Stefano erano pietose, ma lui ancora una volta rifiutò il ricovero e tornò a Regina Coeli.

Il 17 ottobre, però, le sue condizioni si aggravano ulteriormente e venne sottoposto al ricovero coatto presso l’ospedale Sandro Pertini. 

Stefano Cucchi morì all’alba del 22 ottobre 2009, in ospedale. All’ora del decesso pesava solo 37 kg. Rita e Giovanni, i suoi genitori, vennero a sapere della morte di loro figlio solo quando un ufficiale giudiziario si presentò a casa Cucchi per chiedere il permesso per fare l’autopsia sul suo corpo, e quando affranti dal dolore chiesero come fosse morto, l’unica risposta che ricevettero fu “Si è spento”. 

Avendo adesso raccontato la storia di Stefano si potrebbe continuare criticando le vicende giudiziarie che vi seguirono, ma non è il punto focale dell’articolo. 

Inutile dire che i processi per arrivare a una condanna definitiva furono lunghi e per la maggior parte inconcludenti. Tantissime persone furono accusate e altrettante rimandate a giudizio. Le imputazioni erano varie: dall’abbandono terapeutico attribuito ai medici del Pertini, all’abuso d’autorità esercitato sia dai carabinieri, sia dalle guardie penitenziarie.

Provarono a dire di tutto su Stefano e la famiglia Cucchi: ogni pretesto era valido per non condannare il suo omicidio, poiché nel “bel paese” basta indossare una divisa blu per deridere la legge e calpestare ogni regola. Tuttavia, nessuno riuscì a  piegare Ilaria, la sorella maggiore di Stefano, che lottò fino all’ultimo affinché suo fratello potesse ottenere giustizia, con la consapevolezza, però, che non esiste sentenza che possa donare pace o tregua, ma soprattutto che possa colmare il vuoto che la scomparsa di Stefano Cucchi ha lasciato nella vita dei suoi cari. 

È appurato: Stefano non era il tipo di ragazzo esemplare e non rappresentava certo un modello da seguire; invito però a ricordare che questi reati minori (che si possono comparare a rapina, rissa o evasione fiscale)  sono perseguibili dalla legge con un’adeguata condanna, e che, su ogni cosa, in Italia non è in vigore la pena di morte e nessun membro delle forze dell’ ordine dovrebbe vestirsi dei panni di un giudice divino per determinare chi meriti di essere ucciso e chi possa rimanere in vita. 

Detto questo, tengo a esortare entrambe le generazioni che leggeranno questo articolo: informatevi e fate informazione, perché è solo nella memoria che Stefano e tanti altri come lui possono ancora vivere.

Stefano Cucchi, Giuseppe Uva, Gabriele Sandri, Federico Aldrovandi, Manuel Eliantonio, Aldo Bianzino, Stefano Consiglio, Simone La Penna, Stefano Frapporti e molti altri ancora: per non dimenticare nessuno di loro.

 

Fiammetta Casinghini